Honduras, il golpista che viene da Bergamo
Micheletti «el italiano». Dicono di lui: «È un duro»
Il presidente golpista Roberto Micheletti saluta i militari (Afp)
RIO DE JANEIRO — Un bergamasco che lavora «come un toro», duro, determinato e senza troppi scrupoli. Figlio di quel pezzo d’Italia che se ne andò a cercare fortuna nelle Americhe a cavallo dell’ultima guerra, più per cambiar aria che per necessità. Roberto Micheletti, 65 anni, il presidente dell’Honduras che nessuno riconosce, l’ultimo golpista fuori tempo dell’America Latina, non è nato in Italia ma solo per caso. In quegli anni il padre Umberto era già andato e venuto da Bergamo all’Honduras per un paio di volte, incerto tra la propria terra e le opportunità che si aprivano in un Paese poverissimo, dove gli stranieri più svelti potevano arrivare facilmente al vertice del potere e della ricchezza. E sono stati i due figli maschi, Roberto e Marco Polo, a realizzare il sogno. Con un percorso classico: esercito, imprenditoria e politica.
Giovanissimo, Roberto si arruolò nella guardia armata presidenziale, dove ebbe un ruolo primario in un tentativo di colpo di Stato nel 1963. Fallito il golpe, finì brevemente in carcere. Passò un periodo negli Stati Uniti, dove mise insieme una somma che gli permise al ritorno di comprare una flotta di camion. Dai primi mezzi che guidava personalmente, Micheletti e il fratello arrivarono a creare in Honduras una grossa ditta di autotrasporti, che ancor oggi possiedono. Ma entrambi sapevano che il vero salto si poteva effettuare solo con la politica.
Roberto è alla Camera dai primi anni Ottanta, il fratello è già stato al governo, come viceministro dell’Agricoltura. Entrambi in quel partito liberale che rappresenta gli interessi dell’oligarchia del Paese ma è bravissimo a trovare i voti tra i più poveri, grazie al maneggio dei fondi pubblici. Nel frattempo i due sono rimasti attivi nella piccola comunità italiana dell’Honduras (sono circa un migliaio i nostro connazionali) e Marco Polo ha tuttora una carica nella camera di commercio italiana a Tegucigalpa.
OAS_AD('Bottom1');
Senza il golpe, Micheletti non sarebbe mai arrivato alla Presidenza. È molto conosciuto, ma non è popolare, si dice a Tegucigalpa. Alle primarie del partito che avrebbe dovuto decidere il candidato venne sconfitto, ma intanto era riuscito a conquistare la presidenza del Congresso. Una posizione ritenuta fondamentale in Honduras, perché dispone di fondi pubblici che possono essere utilizzati nei collegi, a fini clientelari. La scorsa settimana è stata questa carica a permettergli di diventare capo dello Stato, nel tentativo dei golpisti di dare una parvenza di legittimità costituzionale al cambio. Come era prevedibile, il vicepresidente ha rifiutato di succedere a Zelaya, e così la fascia presidenziale è toccata a «el italiano». Toccherà adesso a lui districarsi nel pasticcio internazionale creato dal golpe. Nessun Paese ha riconosciuto il suo governo e molti ambasciatori latinoamericani sono stati richiamati in patria per protesta.
L’Unione europea deciderà il da farsi nelle prossime ore. Micheletti forse non aveva fatto i conti con la secca censura arrivata anche dalla Casa Bianca. Pensava forse che i forti interessi americani in Honduras, sempre difesi dal suo schieramento, potessero bastare a far passare l’azione come un cambio accettabile. Nelle prossime ore dovrà anche trovare il modo di gestire quello che promette essere un colpo di teatro. Zelaya, oggi in Costa Rica, vuole tornare in patria, forte dell’appoggio dell’Onu che lo considera ancora presidente legittimo. La presidente argentina Cristina Kirchner lo accompagnerà. Come farà Micheletti a far eseguire il mandato di cattura che — ha ricordato — pende sulla sua testa?
Rocco Cotroneo01 luglio 2009
Fuente: www.corriere.it
-
No hay comentarios:
Publicar un comentario